Un titolo di non frequente esecuzione – il seicentesco oratorio “San Giovanni Battista” , capolavoro di Alessandro Stradella – ha costituito uno dei momenti salienti delle Innsbrucker Festwochen der Alten Musik 2017, grazie anche alla nitida ed appassionata conduzione musicale di Alessandro De Marchi
Come si sa, a causa della sua aura di mondanità per secoli a Roma il melodramma non fu visto di buon occhio. E' per questo motivo che incontrarono grande fortuna le formule dell'oratorio e della cantata, sacra o profana che fosse. Il primo, ospitato fra le navate delle chiese romane, specialmente in periodo di Quaresima quando i teatri erano chiusi. La seconda, assai apprezzata nei fastosi palazzi patrizi.
Niente mondanità vicino al soglio di San Pietro
Ma cacciato il diavolo dalla porta, eccolo rientrare dalla finestra. Pur nella limitatezza dei soggetti, tratti dai testi sacri o dalla letteratura religiosa, un oratorio finiva sovente per parere simile ad un'opera nella successione di arie e duetti, e si trovava sempre il modo di assecondare le velleità virtuosistiche dei cantanti. L'occhio vigile della Chiesa, però, a ribadirne il carattere edificante imponeva di scandire ogni esecuzione con dei sermoni religiosi. Bravi predicatori nell'Urbe non mancavano di sicuro. Se infine poi l'estro teatrale del compositore era debordante, come nel caso di Antonio Stradella - grande musicista, però individuo violento e picaresco – non poteva che nascere un lavoro di spiccata valenza scenica come questo San Giovanni, creato nell'Anno Santo 1675 per la Compagnia della Pietà della Nazione Fiorentina in Roma.
Un vertice assoluto del genere oratoriale
Riascoltato nello spazio sfarzoso del Duomo di Sankt Jacob, San Giovanni Battista si conferma dramma sacro intriso di esuberante teatralità, sin dal vivace libretto dell'abate Ansaldi che suggerisce una celere sinteticità. Quanto alla partitura in sé, Stradella riesce a riempirla di sfumature e colori; e sfrutta al meglio l'alternanza policorale tra concerto grosso e concertino, pur usando un organico fatto di soli archi e basso continuo; realizzato in questo caso con viola da gamba, tiorba, due cembali e organo positivo. Gli apici musicali sono tanti: tra essi senz'altro l'aria del Battista «Io, per me», dalla poetica e meditativa allure; ma visto che a tener banco è la dissoluta Salome, ecco per lei due arie virtuosistiche di rilucente bellezza, «Sorde Dive» e «Queste lagrime e sospiri». La prima, offerta dal contratenore Lawrence Zazzo, le altre due dal soprano Arianna Venditelli: due interpreti di massima espressività, e stilisticamente ineccepibili. Non son tuttavia da meno in bravura Luigi De Donato (Herode), Emilie Renard (Herodiade) e Fernando Guimarães (Consigliero). Tutti in passato premiati dal Concorso Cesti, caposaldo delle Innsbrucker Festwochen. L'orchestra è l'Accademia Montis Regalis: energica, duttile e precisa in ogni situazione. Il suo direttore, Alessandro De Marchi, fa emergere tutta la potenzialità della partitura stradelliana, concertandola con profonda cognizione formale ed esaltandone tutto l'elegante fluire musicale, i raffinati intrecci strumentali e i bei florilegi vocali. Per inciso, non è mancata la predica: un testo seicentesco letto a metà concerto da padre Florian Huber. (Concerto del 18 agosto 2017)